L’inarrestabile ascesa di OnePlus

L’inarrestabile ascesa di OnePlus

Dagli inviti, agli errori, sino alla consacrazione del più chiacchierato produttore di smartphone degli ultimi anni.

Quando OnePlus è arrivata sul mercato è stata accompagnata dalla titubanza, tipicamente europea, secondo cui un prodotto cinese non associato ad un grande marchio non fosse degno della nostra attenzione. Del resto, oggigiorno sono letteralmente dozzine i produttori hardware del mercato della telefonia, con in testa le ormai inossidabili Apple e Samsung, le cui decisioni, generalmente, impongono su tutti gli altri brand le mode del momento, come il più recente notch, o gli ormai amatissimi schermi bordless. OnePlus, tuttavia, si è subito imposta alla nostra attenzione, in primis per il suo particolarissimo modello di vendita, e poi per le diverse controversie che, tuttavia, non ne hanno arrestato affatto l’ascesa verso l’Olimpo dei grandi. A ripensarci quel modello di vendita a “inviti”, così difficili da accaparrarsi ma così soddisfacenti da possedere, è un qualcosa che ha già oggi un fascino quasi ancestrale.

Una sorta di “gamification” dell’acquisto, che non ha mancato di frustrare buona parte dell’utenza mondiale, ma che ha anche creato attorno alla società una community solida e appassionata, fondamentale a dir poco per il buon successo commerciale del prodotto. OnePlus One, del resto, era un gran bel device, venduto per altro alla ridicola cifra di 300 dollari, che rispetto al suo hardware erano veramente poca roba. La vendita ad inviti, del resto, altro non era che un modo abbastanza ovvio di mascherare le limitatezze della catena di montaggio cinese, agli esordi probabilmente inadeguata per fronteggiare una domanda che, già solo due anni dopo l’esordio della compagnia sul territorio nazionale, vantava oltre 43 paesi distributori in tutto il mondo, Italia compresa ovviamente. Da quegli inviti, fortunatamente archiviati nel 2016, la compagnia ha cominciato un’ascesa digitale e non basata su campagne marketing quanto mai discutibili, così “kitsch” da non essere comprese neanche dagli stessi fan del brand a cui erano palesemente rivolte.

Giusto per cronaca val la pena ricordare la “Smash the past”, che chiedeva ai partecipanti di distruggere in un video il loro vecchio cellulare per ricevere un OnePlus One al prezzo di 1 dollaro, peccato solo che nessuno avesse capito che occorreva essere selezionati prima di distruggere il telefono; e la tristemente nota “Ladies First”, che chiedeva alle donne del forum OnePlus di postare una propria foto che, a suon di like, avrebbe eletto le vincitrici dell’invito. Da lì ai commenti sessisti degli utenti fu un attimo, e la campagna fu ben presto bloccata. Da quel momento, OnePlus ha presumibilmente compreso che era ora di eliminare la questione dell’esclusività dal proprio marchio, tanto per la gestione difficile del sistema di inviti, tanto per le controversie di campagne sempre ai limiti della più amatoriale forma di marketing digitale, sia – più certamente – per il notevole potenziamento della filiera di montaggio. Il punto focale del successo, al di là del prezzo dei prodotti, è stato quindi il passaggio dal marketing aggressivo della compagnia, al più apprezzabile selling point relativo alla “rispettabilità” del prodotto, un modello simil Apple, che mettendo sotto l’attenzione dell’utente l’affidabilità del dispositivo, ne ha in qualche modo decretato il successo. Una strategia che, ad oggi, si sta rivelando la modalità migliore di marketing per la compagnia, i cui prodotti non sono ancora al livello costruttivo dei suoi competitor, ma che nonostante ciò si rivelano perfetti per una larga fetta del mercato, specie per chi ha un feticismo per le prestazioni degli smartphone, ma non ha la voglia di investire in un top di gamma.

Raffaele Giasi
www.staynerd.com