I bastardi di Tarantino

I bastardi di Tarantino

La forza evocativa del cinema (come arte capace di realizzare sogni, anche i più astrusi) in “Inglorious bastards” si materializza nell’unico modo possibile, dando sfogo a tutta la sua fantasia. Perché solo su uno schermo si possono riaddrizzare le nefandezze del mondo e i “buoni” (i bastardi dalla parte giusta, diremo) forzare la mano perché si giunga ad un finale spiazzante e soddisfacente. “C’è una doppia metafora” racconta il geniale regista italo americano “la forza del cinema nel contesto del film riesce a togliere di mezzo il terzo Reich. E’ un potere unico, quasi divino”. Infatti Inglourius Basterds (i due refusi sono voluti in quanto la poliglottologia del film, almeno nell’originale, è importante) diviso in cinque capitoli (più un epilogo autocitazionista), racchiude l’essenza del cinema tarantiniano. Un omaggio al cinema bellico, con i soliti dialoghi surreali e improvvisi lampi di violenza, con tanto di musiche di Ennio Morricone.

Un film di guerra senza guerra, che inizia come un western e si amplifica in un combat film con citazioni su citazioni. “Come sceneggiatore i miei personaggi posso fare e dire tutto” tiene a sottolineare Tarantino durante l’incontro all’Hotel Hussler di Roma “ed infatti non gli ho fatto mancare niente. Nemmeno l’incontro con lo zio Adolf”. Nella sostanza il film racconta di un gruppo di soldati ebrei americani, comandati dal tenente Aldo Reine (Brad Pitt), per compiere azioni di guerriglia nella Francia occupata. Per generare terrore, gli otto bastardi torturano e cavano gli scalpi dei nemici e incidono svastiche sulla fronte dei superstiti. Le loro vicende si intrecciano con quella di una ragazza ebrea proprietaria di un cinema di Parigi, dove verrà proiettato un film di propaganda nel quale saranno presenti tutte le alte cariche del terzo Reich, compreso Adolf Hitler. Tutti i buoni hanno un buon motivo per trovarsi in quel cinema, ma a complicare le cose sarà un terribile (nonché iperintuitivo e poliglotta) colonnello delle SS, interpretato da Christoph Waltz.

Inglorius Basterds è la prova che il cinema può cambiare le sorti del mondo…

Sicuramente. Ma è soprattutto sul suo potere. E nella mia storia è il potere del cinema che può cancellare il terzo Reich. Una cosa interessante. Ma possibile. La metafora è chiara. Il cinema è fantasia, invenzione. Quindi perché no? La Germania nazista si rafforzava con la propaganda cinematografica… e poterlo “uccidere” in un cinema è stata un’idea fulminante.

Lei quindi si è divertito a giocare con la storia, inventandosi una pseudo-storia…

Quando ho pensato alla sceneggiatura, non sapevo che sarei andato così lontano dalla realtà storica. In fondo è un film di guerra, dove un gruppo di persone deve portare a termine una missione. Ho lavorato su questo. Poi però, alla fine, la “storia” del film va da una parte e la “vera” storia va da un’altra. Essendo uno scrittore, uno sceneggiatore, più che un regista, sono il creatore delle vite dei miei personaggi. Quindi possono fare loro quello che vogliono. Veramente di tutto. Anche cambiare la storia ufficiale. In fondo i miei personaggi non sanno come andrà a finire veramente la seconda guerra mondiale, anche perché vivendo nella realtà fittizia di un film, esistono solo in quel contesto. Se fossero esistiti veramente, penso che si sarebbero comportati come i miei bastardi e la guerra sarebbe finita in modo diverso.

Tra i bastardi c’è il personaggio interpretato da Micheal Fassbender, che è sia un critico cinematografico che un commando. Un altro rimando a come il cinema possa riscrivere la storia?

In un certo senso. Pensandoci bene tutta la missione dipende da lui. Sa parlare il tedesco e in contemporaneamente è un critico cinematografico. Ma nella scena del bar viene ucciso e i bastardi rimasti si chiedono cosa dovranno fare da quel momento in poi. Da qui, come dicevo prima, la storia cambia totalmente. In un film canonico, Fassbender non sarebbe morto. Avrebbe portato a buon fine la missione ed il film sarebbe finito come dovrebbe. Mentre scrivevo il suo personaggio pensavo a I Cannoni di Navarrone. In quel film David Niven è l’uomo degli esplosivi. Per tutto il film non viene ferito, anzi per creare pathos con il personaggio, il regista J. Lee Thompson, gli fa fare cose improbabili, come scalare una montagna a mani nude. Se fosse morto, addio film. Ma io ho voluto cambiare prospettiva. Faccio morire uno dei buoni e così la storia può prendere una strada diversa… e arrivare al suo finale pirotecnico.

Cioè, il cinema che brucia se stesso e fa finire la seconda guerra mondiale…

Ogni tanto da sceneggiatore arrivano, così all’improvviso delle illuminazioni incredibili. Ti viene in aiuto Dio che ti permette di trovare uno spunto geniale. Così ho pensato che potevo usare la pellicola per incendiare il cinema e mandare in fumo tutto il terzo Reich. Infatti, la pellicola in 35 millimetri farà crollare il regime nazista. Giunto a questo punto dovevo solo capire quale film sarebbe stato il primo a prendere fuoco. Potevo utilizzare quelli realizzati da Goebels per la sua propaganda, oppure un qualsiasi film dell’ Ufa. Poi però mi è venuto in mente Jacques Renoir, il regista francese, vietato dal regime nazista. Così l’incendio inizia bruciando un rullo de la Grande Illusione…

Molti hanno definito Inglorius Basterds come il film della sua maturità. Lei cosa ne pensa?

Non penso che un cineasta sappia se un suo film sia migliore di un altro. Faccio film e amo tutto il cinema. Credo che questo debba bastare.

Come è il suo rapporto con la critica?

Ho molti amici tra i critici. Alcuni mi odiano, altri mi amano. Non ci sono mezze misure. E’ giusto che sia così. Considerandomi uno scrittore di cinema, credo che se non facessi film sarei un critico. Anzi, forse è proprio quello che farò quando andrò in pensione. Ad ogni modo, dopo 17 anni che faccio il regista, mi sono fatto un’idea su come comportarmi con la critica. Sono fermamente convinto che sia costruttivo comprendere dagli altri cosa venga scritto sui tuoi film. Ho sempre letto con piacere qualsiasi cosa sia stata detta sui miei lavori. A proposito di Pulp Fiction, un critico scrisse che non sarei mai stato un maestro della suspance. Ho capito molto da quelle parole. Infatti, nei miei film non c’è quell’attesa canonica, ma scene che cambiano registro all’improvviso stravolgendo totalmente lo svolgimento della storia. Spesso destabilizzano lo spettatore che da quel momento in poi si chiede “e adesso cosa succede?”

I suoi bastardi sono cattivi e violenti. Un’immagine a dir poco inusuale dei soldati americani visti fin ora al cinema…

I miei soldati sono eccessivamente violenti? Ma in guerra non esistono regole. Forse nel film possono sembrare grotteschi perché usano tecniche non propriamente convenzionali. Sono uomini… e dato che gli ho creati io, possono fare quello che vogliono. Anche andare a caccia di scalpi.

Nell’ultimo anno due film parlano di ebrei guerrieri (Defiance, ad esempio) che imbracciano il fucile e si ribellano ai nazisti. Sta cambiando qualcosa nell’iconografia classica del “povero ebreo”?

Forse. Ad ogni modo, volevo raccontare una storia con un gruppo di uomini che devono portare a termine una missione. Di film del genere ne sono stati girati migliaia. Basti pensare a quelli di Umberto Lenzi, di Castellari oppure a quelli tipo Quella Sporca Dozzina. Così ho deciso di prendere un gruppo di ebrei americani, che hanno lo scopo di diventare la bestia nera dell’esercito tedesco, utilizzando tecniche di guerriglia apache.

Il suo è un cinema Pop che piace a tutti…

Non so come accade. Ho un pubblico pop e uno intellettuale. Forse perché faccio film che sono di facile fruizione, senza fronzoli, che può arrivare a diversi tipi di pubblico. Sono americano, ma non faccio film “americani”. Non voglio essere mai uguale a me stesso. Elaboro le storie e le situazioni traendole dai film di cui mi sono cibato. Sono stato influenzato da tutti i tipi di cinema, da quelli di serie B a quelli giapponesi sulla Yakuza; dalla blaxploitation agli spaghetti western. Sono come un aspirapolvere, metabolizzo tutto. Poi lo elaboro a mio piacere e lo trasferisco nei miei film.

Roberto Leggio

(Nella foto il regista Quentin Tarantino e l’attore Brad Pitt)