Canapa italiana: un futuro sostenibile

Canapa italiana: un futuro sostenibile

Da anni nel nostro Paese si cerca di dare il giusto valore al potenziale industriale della pianta di canapa in un settore relativamente giovane, ma con grandissime opportunità e in grado di accelerare la transizione verso una bioeconomia sostenibile e a “zero emissioni”.

Federcanapa, la Federazione della canapa italiana nata nel 2016 dall’unione di imprese, esperti e associazioni operanti da lungo tempo nel mondo della canapa in Italia, tutela gli interessi dei coltivatori e dei primi trasformatori di canapa (Cannabis sativa L.) coltivata in Italia nelle sedi istituzionali e nei confronti degli altri settori economici.

A tale scopo la federazione promuove la ricerca e la diffusione di informazioni attendibili, scientificamente corrette, sui metodi di coltivazione e lavorazione della canapa industriale e sulle sue potenziali applicazioni.

Ne abbiamo parlato con Rachele Invernizzi, vicepresidente di Federcanapa e membro del consiglio direttivo di EIHA – European Industrial Hemp Association, l’Associazione europea della canapa industriale

Rachele ci può raccontare il suo percorso nel mondo della canapa ?

Ho avuto l’illuminazione nel 2011. Verso fine anno ho contattato Assocanapa che allora era l’associazione più attiva nel mondo della canapa in Italia. Parlando con l’allora presidente decidemmo che ciò di cui il settore aveva più bisogno era la creazione di un centro di trasformazione della paglia di canapa e così nella primavera del 2012 ho iniziato a fare delle prove colturali in Sud Italia per capire se la canapa potesse crescere bene anche in zone aride. Nel frattempo ho iniziato ad affacciarmi al settore industriale in Europa tramite EIHA, l’associazione europea che riunisce i produttori di canapa industriale di cui siamo soci dal 2013. Da gennaio 2018 siedo nel direttivo dell’associazione.

L’Italia in passato è stata uno dei più importanti produttori di canapa al mondo. Purtroppo oggi, a causa di leggi mal interpretate e limitanti, la nostra produzione è molto inferiore a quella degli altri paesi europei. Ci può spiegare come mai?

Purtroppo il nostro governo non collabora, non è chiaro per loro quanto potrebbe essere importante a livello economico, sociale ed ambientale la coltivazione di questa incredibile pianta che a livello industriale offre grandi opportunità. Nonostante gli sforzi che facciamo quotidianamente con l’associazione Federcanapa, di cui sono vicepresidente, di cercare uno spiraglio a livello ministeriale per interloquire con chi prende le decisioni e dare dati e delucidazioni su cosa potrebbe portare a livello occupazionale ed economico, l’Italia è ferma e non riesce a partire.

Cosa servirebbe esattamente al nostro Paese per poter tornare ad essere leader in termini di produzione?

In primis servirebbero aiuti e supporti economici dal governo, ma soprattutto la volontà di prendere la decisione di tornare ad una sana economia come è stato in passato e semplicemente normare i vari settori.

Quali sono le nuove tecnologie applicate alla produzione e alla trasformazione della materia prima?

Sicuramente i metodi di produzione in campo sono molto cambiati rispetto agli anni ’50 del secolo scorso, oggi facciamo una lavorazione meccanizzata che allora non esisteva ed era svolta manualmente. Per gli impianti di trasformazione siamo abbastanza in alto mare, per il momento esistono solo 6/7 impianti in tutta Europa. Sono impianti molto grandi come capacità, prodotti tra Belgio e Olanda, nati per la lavorazione del lino e adattati alla lavorazione della canapa, molto costosi e non del tutto efficaci. Servono in tutto il mondo impianti di media portata che possano lavorare la produzione di paglia di territori di 500 ettari così da riuscire a porre in essere un’economia circolare sostenibile. Ci stiamo lavorando.

Che consigli darebbe a un imprenditore interessato ad investire in questo settore?

Di avere coraggio, di affiancarsi a persone serie. Purtroppo uno dei motivi per cui si fa molta fatica a partire in questo settore è l’imperversare di “furbetti” che fingono di avere soluzioni che in realtà non possiedono. Ma il settore è molto promettente e ci sono persone serie pronte a partire con progetti di tutto rispetto su diversi fronti. Va da sé che si tratta di uno scenario nuovo e chiaramente in ascesa, ma i prodotti che derivano dalla trasformazione della pianta sono assolutamente prestanti nella visione di un futuro sostenibile, sano e rispettoso della natura e dell’ambiente.

Quali sono le istituzioni e le associazioni di categoria più importanti in Italia in grado di fornire tutte informazioni fondamentali?

In Italia sono nate una miriade di associazioni, per lo più piccole e dedicate alla produzione di infiorescenze. Per quanto riguarda la canapa industriale intesa come paglia e seme, invece, le associazioni con una buona conoscenza di questi due aspetti si contano sulle dita di una mano.

Il problema della filiera in Italia è un tema particolarmente delicato, cosa manca per poterne creare una in grado di soddisfare la domanda del mercato?

Mancano attrezzature e impianti dedicati che permettano agli agricoltori di avere un contratto per poter conferire il prodotto, la materia prima che producono. Con la creazione degli impianti di prima trasformazione sia per la paglia che per il seme si creerebbero inevitabilmente le filiere.

Quali sono secondo lei i settori della canapa più interessanti in termini di investimento economico, tra alimentare, farmaceutico, bioedilizia, bioplastica, tessile e biocarta?

Parto dall’alimentare. È uno sviluppo molto promettente, soprattutto se si considera l’ottima fama di cui gli italiani godono in fatto di produzione di cibo, ma abbiamo una legge che ha dei limiti di THC troppo bassi e perciò si rischia di incappare in diversi ostacoli. Quello della farmaceutica è un tasto dolente, un settore in cui non investirei considerando la preminenza delle case farmaceutiche e i vuoti legislativi che limitano le applicazioni. La bioedilizia purtroppo non può avere sviluppi nell’immediato dal momento che non abbiamo una produzione italiana di canapulo (detto anche “legno di canapa” ndr.) e dobbiamo servirci all’estero. Questo incide molto sui costi, ma nel momento in cui finalmente produrremo canapulo italiano sarà un settore molto importante su cui puntare e svincolato da limiti di legge. La bioplastica è di certo interesse ma c’è ancora molto da fare in quanto a ricerca e sviluppo e in più si rischia di scontrarsi con il mondo delle plastiche da idrocarburi, lobby forte e potente. Lo stesso discorso vale per la carta. Anche qui le ricche lobby della cellulosa arborea non vogliono cedere il passo ad una produzione sostenibile prodotta ogni anno senza impatto ambientale. Per quanto riguarda il tessile purtroppo non produciamo per il momento fibra adatta al settore anche se potrebbe essere altrettanto interessante.

Secondo la sua esperienza quanto tempo dovrà ancora passare prima che l´Italia possa rendersi autosufficiente? E che cosa manca affinché le aziende italiane possano acquistare canapa coltivata e lavorata in Italia?

Dipende dagli investitori, mancano i finanziamenti. Una volta che i primi buoni progetti, già in atto, verranno finanziati potremo partire alla grande. Le aziende italiane potranno comprare in Italia quando l’Italia inizierà a produrre e ad avere disponibilità di materia prima, fibra, canapulo e seme. È un cane che si morde la coda.

Oltre ad essere vicepresidente di Federcanapa, lei é anche nel board dell´EIHA. Ci può raccontare come si sta evolvendo il mercato a livello europeo ?

Anche in Europa c’è gran fermento, però come in Italia abbiamo poca chiarezza a livello legislativo in Commissione Europea e perciò questo grande potenziale resta zoppo. Abbiamo da un anno un ufficio EIHA a Bruxelles che si occupa principalmente di fare lobby per la canapa all’interno della Comunità. Grazie al team molto preparato che gestisce l’ufficio stiamo pian piano entrando nei giochi e stiamo cercando di sciogliere i nodi che di volta in volta si presentano.

I temi più importanti sono relativi al livello consentito di THC in campo in fase di semina, su cui chiediamo di passare dallo 0.2% allo 0.3%.

Chiediamo che vengano alzati i valori di THC consentito anche negli alimenti e che sia regolato l’utilizzo del CBD a livello alimentare cosmetico e farmaceutico. Stiamo lavorando per i nostri associati sulla spinosa questione dell’inquadramento della canapa come novel food, perché la comunità non riconosce alla molecola l’ uso tradizionale, cosa che dovrebbe essere abbastanza chiara visto che si tratta di una pianta antica come il mondo, ma anche qui diamo fastidio ad altri settori.

Quanto incide il sistema lobbistico sul tema canapa in Italia? E in Europa?

In Italia con la situazione di governo che abbiamo è veramente difficile, in Europa stiamo lavorando bene e la direttrice di Eiha Lorenza Romanese ed il suo team sono molto abili e preparati , perciò ho buona fiducia che piano piano otterremo grandi risultati, dopodichè l’Italia dovrà adattarsi alle direttive europee visto che è uno stato membro.

Paolo Del Panta