Si chiamava Piersanti – L’intervista a Giovanni Grasso

Si chiamava Piersanti – L’intervista a Giovanni Grasso

Padre di una nuova Sicilia e protagonista di una delle pagine più amare della storia repubblicana: Piersanti Mattarella, quarant’anni dopo.

Era presidente della Regione Sicilia da poco meno di due anni quando fu freddato nella sua auto sotto gli occhi della moglie, dei due figli e della suocera. Era l’Epifania del 1980 e a Palermo si chiudeva nel sangue un’era di speranza e innovazione sigillata dall’impegno politico e morale di Piersanti Mattarella.

E cambiavano i destini di molti, anche quello di un giovane Sergio Mattarella. Una morte senza nome per una vita che non può che continuare ad essere raccontata. Lo sa bene Giovanni Grasso, consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica e direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica, autore della biografia “Piersanti Mattarella. Da solo contro la mafia”.

Piersanti Mattarella

Quello di Piersanti Mattarella resta quarant’anni dopo un omicidio senza colpevole. Da un punto di vista giudiziario oggi a che punto siamo?

C’è stato un processo, che è arrivato fino in Cassazione. In quel processo sono stati condannati gli esponenti della cosiddetta cupola mafiosa come mandanti dell’omicidio, ma nulla ancora sappiamo sull’identità del killer che sparò al presidente della Regione Sicilia e del suo complice. Il delitto Mattarella è ancora avvolto nella nebbia. Ed è strano che i tanti pentiti di mafia che hanno raccontato molti particolari sulla struttura di Cosa Nostra, sui suoi riti e le sue affiliazioni, sul modus operandi e su altri delitti, non abbiano mai speso una parola utile a fare luce sul delitto Mattarella. O hanno taciuto o hanno depistato. Giovanni Falcone era fermamente convinto che a sparare, per conto della mafia in collaborazione con altri poteri occulti, fossero stati due terroristi di estrema destra, che furono per questo incriminati. Dopo la morte di Falcone le indagini cambiarono decisamente direzione. Perché pentiti di mafia, come Buscetta e Mannoia, esclusero la partecipazione di killer esterni alla mafia nell’uccisione del presidente della Regione Sicilia. Ma non seppero fornire alcuna indicazione su chi, allora, avesse sparato. Ritengo che la credibilità di un pentito andrebbe misurata anche dalla sua capacità di rivelare elementi concreti, utili alla ricerca della verità, nelle aule dei tribunali. Senza contare che nelle fasi iniziali delle indagini ci furono in atto numerosi tentativi di depistaggio, anche da persone che operavano negli organi dello Stato. Troppi misteri, che a quarant’anni dall’omicidio lasciano l’amaro in bocca.

Ci sono aspetti che più di altri possono averne determinato la condanna?

È chiaro che il modo di operare di Piersanti Mattarella confliggeva con gli interessi mafiosi. La sua dinamica azione riformatrice della Regione Siciliana stava incidendo profondamente nella macchina amministrativa, con l’introduzione di regole, controlli e criteri di massima trasparenza nei settori degli appalti, degli indici di edificabilità, nella programmazione, nel governo del personale, nel coordinamento politico degli assessorati. Stava di fatto tagliando l’erba sotto i piedi della mafia, che – come sosteneva Mattarella – prospera proprio nelle inefficienze, nei ritardi, nelle procedure farraginose, nella discrezionalità delle scelte, nella mancanza di controlli. Ma credo che dietro il suo omicidio ci sia anche qualcosa di più. Che non sia una storia unicamente siciliana. Piersanti Mattarella era un leader di portata nazionale e la sua determinazione nel dar vita, in Sicilia, a un governo sostenuto dal Partito Comunista, in tempi ancora dominati dalla guerra fredda, gli creò molti nemici. In Sicilia e altrove. Sono persuaso che un filo comune leghi la morte di Piersanti a quella del suo maestro Aldo Moro.

Giovanni Grasso

Un cattolico impegnato in politica, così lo ha definito. Come s’inseriva la priorità dell’insegnamento cattolico nel ruolo istituzionale e nella Sicilia di cui Piersanti Mattarella fu presidente?

Mattarella era un democratico cristiano convinto e consapevole, fedele ai principi ispiratori del suo partito. I suoi riferimenti ideali e politici erano don Sturzo, De Gasperi e Moro, che erano laicamente cristiani, ma anche popolari, democratici, antifascisti, interclassisti, solidaristi. E che avevano una alta concezione della politica, disinteressata e mai separata dalla morale. Una concezione respirata in famiglia, a scuola e nell’Azione Cattolica di cui era stato in gioventù un fervente militante.

Un’opera di modernizzazione che guardava anche ad altri modelli europei e puntava ad attrarne gli investimenti. Cosa ne rimane nella Sicilia di oggi e nell’Italia di oggi?

A quarant’anni di distanza viene da chiedersi cosa sarebbe accaduto se Piersanti Mattarella, con la sua carica ideale e la sua capacità propositiva, avesse potuto spingere fino in fondo la sua battaglia di rinnovamento delle istituzioni e dei comportamenti politici in Sicilia. L’impressione che ne ricavo è che la sua lezione fu frettolosamente archiviata. Le traversie della Regione Siciliana e gli endemici e non risolti problemi dell’Isola sono lì a dimostrarlo.

Uno scatto di Letizia Battaglia ha inscritto in maniera permanente nella memoria collettiva il delitto di via Libertà e i volti di chi quel giorno si trovò ad essere tragicamente protagonista, tra cui un allora trentottenne Sergio Mattarella. “Dopo tanti anni, è come se le cose tornassero, forse per mettersi a posto” aveva detto proprio la Battaglia. Piersanti Mattarella sarebbe oggi ancora “solo contro la mafia”?

La Sicilia è molto cambiata, in questi ultimi decenni, specialmente dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino. È emersa, soprattutto tra i giovani, una nuova consapevolezza: la mafia non offre garanzie, ma distrugge il futuro. Certo, la mafia non è ancora stata sconfitta: si dedica infatti a loschi e redditizi affari a dimensione globale: droga, armi, rifiuti tossici, traffico di uomini e così via. Ma in Sicilia ha perso il controllo del territorio e soprattutto il controllo delle coscienze, ottenuto con le lusinghe e con la paura. Oggi la società siciliana non ha paura e per questo mi sento di affermare che oggi Piersanti Mattarella non sarebbe più solo.

**-Stava di fatto tagliando l’erba sotto i piedi della mafia, che – come sosteneva Mattarella – prospera proprio nelle inefficienze, nei ritardi, nelle procedure farraginose, nella discrezionalità delle scelte, nella mancanza di controlli.

-A quarant’anni di distanza viene da chiedersi cosa sarebbe accaduto se Piersanti Mattarella, con la sua carica ideale e la sua capacità propositiva, avesse potuto spingere fino in fondo la sua battaglia di rinnovamento delle istituzioni e dei comportamenti politici in Sicilia.

LA LETTURA

“Piersanti Mattarella: da solo contro la mafia”

Di Giovanni Grasso

Editore San Paolo, 2014

Martina Morelli