Riforma della cittadinanza? Si… può… fare!

Riforma della cittadinanza? Si… può… fare!

Secondo uno studio su dati ISTAT della Fondazione Leone Moressa, istituto di studi e ricerche sull’economia dell’immigrazione, al momento in Italia ci sono circa 1 milione e 65mila minori stranieri, mentre i minori nati in Italia da madri straniere dal 1999 a oggi sono 634.592 (assumendo che nessuno di loro abbia lasciato l’Italia). 166.008 i ragazzi stranieri che hanno completato almeno cinque anni di scuola.

Numeri che evidenziano quanto la questione della cittadinanza sia un tema caldo per il nostro paese, in controtendenza rispetto all’interesse che la politica sembra riservarle, visto che ci si dibatte ancora su una legge approvata dalla Camera alla fine del 2015, ma ancora in attesa di essere esaminata dal Senato.
Oggetto della disputa è l’espansione dei criteri per ottenere la cittadinanza italiana, soprattutto per quanto riguarda i bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli.

La nuova legge introduce due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni.
Lo ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza. È ciò che oggi accade negli Stati Uniti, ma la legge presentata al Senato prevede uno ius soli “temperato”: un bambino nato in Italia diventa automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni.
C’è poi lo ius culturae. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Al momento, nonostante sia uno degli aspetti più discussi della recente vita politica italiana, siamo praticamente fermi al 1992, anno dell’ultima legge che prevede come unica modalità lo ius sanguinis: un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.
Va da sé che una legislazione approvata venticinque anni fa, con un panorama politico e sociale così differente e che riguarda un tema in continua e rapida evoluzione non può bastare.
Perchè esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia, e che di fatto sono e si sentono italiani.

Margherita Pituano