Theresa May, ovvero Thatcher 2.0

Theresa May, ovvero Thatcher 2.0

Fino a un mese fa quella di un voto anticipato non era contemplata neanche come la più remota delle ipotesi, stando a quanto affermato dallo stesso Primo Ministro soprattutto alla luce del “rischio instabilità” che una simile decisione avrebbe provocato. Ma si sa, i sondaggi nella politica contemporanea contano più della coerenza e a cambiare idea si fa sempre in tempo.
Così, parlando di fronte al 10 di Downing Street, la May ha sorpreso tutti, invocando, pur “con riluttanza” nuove elezioni. Serve una “leadership forte nell’interesse nazionale”, ha detto, “E’ l’unico modo per dare certezza e stabilità al Paese nei prossimi anni”.
Ad aver spinto la May ad una simile presa di posizione un panorama politico mai così diviso, in particolare sulla Brexit, con i laburisti che minacciavano di votare contro l’accordo, i Lib-dem impegnati in un’infuocata campagna mediatica, il partito nazionalista scozzese pronto a proporre un secondo referendum sull’indipendenza, senza dimenticare la contrarietà della Camera dei Lord.
Allora perchè non lasciare al popolo la possibilità di decidere, soprattutto quando i sondaggi, pur con così netto anticipo, sembrano spalancare le porte alla riconquista da parte dei Conservatori del governo del Regno Unito.
Del resto, il distacco tra il Partito Conservatore, in testa con più del 40% delle preferenze, e il Partito Laburista, al secondo posto con circa il 25%, arriva ad essere di quasi 20 punti mentre, appena lo scorso anno, si attestava su talmente pochi punti da lasciar ipotizzare un sorpasso dei laburisti. Ma con la Brexit è cambiato tutto, soprattutto è cambiata la sinistra britannica, sempre più visibilmente indebolita nonostante le parole di Jeremy Corbyn, leader del partito , che promette “un’alternativa efficace al governo”. E sono in molti a volerci credere, come sottolinea Owen Jones, editorialista e scrittore inglese del Guardian: “I laburisti devono difendere strenuamente i diritti ed i benefici che il Paese ha acquisito, questa deve essere la base di qualsiasi accordo sulla Brexit. Se i Conservatori dovessero vincere le elezioni con una larga maggioranza, l’uscita dall’Europa potrebbe essere rovinosa. La vittoria schiacciante dei Tories significherebbe la trasformazione della Gran Bretagna in un Paese dove gli interessi dei miliardari conteranno prima di tutti gli altri, trasformando il Paese in un paradiso fiscale a loro disposizione”.
È, in effetti, innegabile che la Gran Bretagna stia facendo i conti con la generazione più precaria di sempre e con una crisi che prima di oggi l’aveva solamente sfiorata.
Una risposta dura arriva anche dal primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, convinta che “i Tories vedano la possibilità di orientare il Regno Unito a destra, attraverso una Brexit dura e l’imposizione di tagli più profondi”. Che sia “un’occasione per cambiare la direzione del Paese” ne è convinto anche Tim Farron, leader dei Lib-Dem.
Nel frattempo The Independent ha postato una lista delle volte che la May ha assicurato che non avrebbe indetto elezioni anticipate: dal 4 settembre 2016 fino al 20 marzo 2017, la leader dei conservatori ha ribadito pubblicamente almeno in cinque occasioni che le elezioni anticipate non erano in programma.