La pubblicit che ci piace

La pubblicit  che ci piace

C’è un spot che sta riscuotendo un successo enorme. È quello che la multinazionale P&G, partner dei giochi olimpici di Londra 2012, ha dedicato a «the hardest job in the world», ma anche il più bello: quello della mamma. Alcuni (pochi per la verità) lo considerano melenso, uno specchietto per le allodole fatto da gente tosta per chi ha il cuore troppo tenero. Per altri è addirittura antitetico rispetto alle ultime tendenze pubblicitarie. Perché diciamolo pure: non è digital, non è “connected advertising”. Eppure strappa lacrime e consensi, retweet e i like, tanto da diventare in poche settimane il centro gravitazionale di conversazioni online. In pratica, quello a cui ambiscono oggi le marche. Il meccanismo è più o meno sempre lo stesso: si “aggancia” il consumatore e lo si traghetta dall’advertising agli ambienti digitali, dove la conversazione continua, per poi concludersi nei migliori casi con un evento ad hoc. Per soddisfare questo bisogno di crossmedialità dei brand, i “creativi” hanno iniziato a sperimentare nuove forme di attivazione: prima portando l’utente a interagire con i prodotti (uno degli esempi più riusciti è la campagna “NSFW. A hunter shoots a bear” realizzata per Tipp-Ex, marchio leader dei correttori a nastro del gruppo BIC Europa), poi spingendoli a co-creare i contenuti. Perché i consumatori, che ormai padroneggiano le piattaforme multimediali, hanno invertito la rotta della comunicazione spingendola nel mare della creatività, nel senso più ampio del termine. In fondo che l’approccio tradizionale all’advertising fosse destinato a farsi un po’ da parte lo avevamo compreso già nel corso dell’ultima edizione dei Cannes Lions, osservatorio privilegiato sugli scenari futuri della comunicazione. Due gli inequivocabili segnali: il cambio di denominazione, con il passaggio da festival della pubblicità a festival della creatività, e il generoso proliferare di nuove categorie, spesso trasversali, che ha consentito a diverse campagne di raccogliere premi al contempo in Direct e in Media, come è successo a “Decode Jay-Z with Bing” del motore di ricerca Microsoft (brillante, innovativa, capace di incarnare perfettamente lo spirito del nostro tempo comunicativo) e a “American Rom” dell’agenzia McCann Erickson di Bucarest.

Sì, Romania. Perché il mondo della pubblicità ha invertito la sua rotta non solo in senso figurato. Per capirlo basta scorrere l’elenco dei Paesi che hanno ricevuto dei riconoscimenti: si va dalla Tahilandia agli Emirati Arabi Uniti, dalla Malaysia a Hong Kong, passando ovviamente per la Cina che, insieme alla Corea (e appunto alla Romania), si è aggiudicata per la prima volta un tanto ambito Grand Prix. E se anche tra i vincitori non sono mancati quelli di lungo corso, è chiaro che i Paesi emergenti si stanno sempre più imponendo come veri innovatori.
E l’Italia? Leader di estro e creatività nei più disparati settori, in quello pubblicitario procede invece per alti e bassi, faticando a essere continuativa. Secondo Massimo Guastini, presidente dell’Art Directors Club Italiano, quello che manca oggi è una unità d’intenti: «Ciò che i migliori creativi italiani definiscono efficace non è ritenuto tale da chi investe in comunicazione». E aggiunge: «Le campagne italiane considerate innovative, originali, un benchmark, non solo agli Adci Awards ma anche al festival di Cannes, raramente sono sostenute da investimenti superiori ai 500 mila euro».

Per tornare allo spot sulle mamme, i fattori di successo sono sicuramente tanti, alcuni forse maggiormente: sicuramente la regia, affidata al messicano Alejandro Gonzàlez Iñárritu (Grand Prix 2011 alla sezione Film per lo spot della Nike “Write the Future”); e poi il budget, poiché con ogni probabilità il colosso americano ha investito una cifra a molti zeri. Di quelle che fanno la differenza e che raramente vediamo girare in Italia. Eppure il problema (alla base di questa incomunicabilità tra le parti) non è (solo) puramente economico, ma anche di contenuto. Che certamente deve essere veicolabile sulle più comuni piattaforme di condivisione, ma soprattutto tornare a essere rilevante. Lo spot di P&G parla di una storia comune, vera, vicina. Parla alle mamme (che è il target preferenziale dell’azienda) rivolgendosi a tutti (perché non saremo tutti genitori ma di sicuro siamo tutti figli). Semplice e comprensibile. Diretto. I consumatori, del resto, non sono più gli sprovveduti di un tempo, disposti a bersi qualsiasi verità gli venga propinata. In un momento di totale frenesia, in cui la quantità di messaggi che ci piombano addosso è sempre più difficile da gestire, la comunicazione deve trovare il modo di dire qualcosa di rilevante. Che poi è quello che ci hanno insegnato Davide Mardegan, Clemente De Muro e Niccolò Dal Corso con lo straordinario spot “Perché tu mi piaci”, bronzo nella categoria Film a Cannes Lions 2011. Un premio che ha tanto da insegnare. E non solo all’Italia (che da troppo tempo ormai rimane fuori dai circuiti internazionali della creatività). Senza una agenzia, senza un cliente e senza un prodotto, i tre giovani di talento hanno dato una scossa al mainstream, dimostrando che creatività può far rima con semplicità, quando l’idea c’è. E non manca il coraggio.

Alla luce di queste considerazioni, è certamente arduo il compito che spetta ai giurati italiani chiamati a difendere il nostro Paese alla prossima edizione del festival: ossia quello di costruire i presupposti affinché la creatività italiana possa tornare a competere a livello internazionale. Un compito che per essere portato a termine chiede un solo, grande impegno: fare gioco di squadra.

di Federica Vagnozzi